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Viaggiatori alla ricerca di inclusività
L’arte come forma terapeutica per conoscere meglio sé stessi. Un percorso intenso, di vita prima che didattico, dove una materia duttile come la creta permette di dar forma a quello che abbiamo dentro.
28 Novembre 2022 | La redazione di farwill.it
“Quello che avete fatto in questi due giorni è la palestra, il corso inizia domani”. Con queste parole lo scultore Felice Tagliaferri ha salutato le allieve del laboratorio La creta al buio, che si è tenuto il 29 e 30 ottobre scorsi a Roma presso MaTeMù, il Centro Giovani e Scuola d’Arte del Municipio I.
Tagliaferri si è formato a Bologna con Nicola Zamboni tra il 1998 e il 2000. La cecità non gli ha impedito di imparare l’arte scultorea e di metterla al servizio delle persone. Nel corso della sua carriera ha realizzato opere per alcuni dei più importanti luoghi della cultura, come i Musei Vaticani, l’Accademia di Brera, la collezione Guggenheim di Venezia, con una missione precisa: rendere il patrimonio artistico fruibile a tutti. L’episodio più noto è probabilmente quello relativo al Cristo velato, la suggestiva scultura di Giuseppe Sanmartino che si trova nella cappella Sansevero, a Napoli. Solo a un contatto diretto con l’opera si può comprendere davvero la sua straordinarietà, l’essere quasi materia vivente alla quale il sonno della morte ha preservato intatta la bellezza. Quando nel 2008 Tagliaferri è in visita alla Cappella, non gli viene data la possibilità di toccare l’opera. Da lì l’atto di denuncia: insieme a Massimo Trubbiani del Museo Tattile di Omero lo scultore studia l’opera, porzione per porzione, fino ad avere un’immagine completa. E nel giro di due anni realizza la sua versione, che chiama Cristo RiVelato, perché velato per la seconda volta e perché, finalmente, accessibile anche ai non vedenti.
Torniamo al racconto delle due giornate. Abbiamo contattato l’associazione culturale ed ente di formazione GRAF, che propone corsi professionali aperti a tutti, non solo a chi è del settore, chiedendo di poter seguire il laboratorio. Non ci saremmo mai aspettati di vivere un’esperienza così autentica. Non usiamo a caso questa parola perché l’approccio di Tagliaferri non è semplicemente di carattere didattico: il laboratorio è un momento di confronto prima di tutto con sé stessi, e con chi ci è accanto, di ascolto e percezione.
La creta, materia duttile, è l’elemento adatto a dar forma a quello che abbiamo dentro, quello che più o meno consciamente sentiamo il bisogno di esprimere. Anche per questo durante le esercitazioni l’unico strumento utilizzato sono le mani: non c’è intermediazione, non si hanno a disposizione utensili che metterebbero distanza tra noi e il lavoro; ogni partecipante ha dalla sua l’ingegno e la creatività che permettono di inventarsi metodi alternativi di modellare la materia (provare per credere!). In questo percorso bisogna affidarsi soprattutto al tatto che è il senso più esteso e, paradossalmente, “il meno studiato”, dice lo scultore, che chiede alle partecipanti di chiudere gli occhi. A quel punto sono le mani che vedono e sentono, passando sulla creta e individuando rughe, crepe, difformità che a volte sono poco percettibili alla vista e quindi sfuggono.
Durante le esercitazioni capita di sentire frasi come “non riesco”, “ci provo”, “è troppo difficile”. Con Tagliaferri questo atteggiamento è bandito: il suo essere propositivo è contagioso, e la sua ironia e schiettezza arrivano dritte alle persone. Una filosofia, questa, che Tagliaferri applica tanto all’arte quanto alla vita.
Alla fine della prima giornata, nonostante non avessimo preso direttamente parte alle attività, dentro di noi si era smosso qualcosa che era lì da tempo e chiedeva di essere elaborato. È impossibile non essere coinvolti emotivamente, ecco perché se si segue un laboratorio di Tagliaferri bisogna mettere in conto che si andrà a scavare dentro e a conoscere meglio sé stessi attraverso gli altri. Usciamo un po’ scossi, non sappiamo cosa sarebbe successo nella seconda giornata.
Curiosi e al tempo stesso intimoriti, troviamo un clima famigliare: alcune partecipanti si conoscevano già da prima, altre si stavano conoscendo, si erano create le giuste premesse per lavorare insieme. La seconda giornata ha visto infatti una collaborazione strettissima tra le partecipanti, che hanno dato forma e sostanza alle consapevolezze acquisite.
Anche noi ci sentiamo ormai parte del gruppo e durante la pausa pranzo ci uniamo a loro: ci confrontiamo e raccontiamo le nostre esperienze in maniera del tutto spontanea e naturale. Il pomeriggio corre veloce, troppo, tra chiacchiere e mani in pasta, e alla fine ci ritroviamo in cerchio provando a riassumere in una parola quello che per noi La creta al buio ha rappresentato.
L’arte ha un enorme potere terapeutico, permette di comunicare agli altri più di quanto noi stessi a volte siamo in grado di fare razionalmente.
Ci sarebbe ancora molto da dire, certe cose però vanno vissute. Vi invitiamo a seguire uno dei prossimi laboratori di Taglieferri, di seguito vi lasciamo tutti i link di riferimento.
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